Un Gin Tonic con Stefano Pillitteri, politico milanese

Stefano Pillitteri, 49 anni, professionista (Avvocato) e politico appassionato. Un cognome e una personalità che hanno bisogno di poche presentazioni, sul panorama politico nazionale e in particolar modo a Milano.
Suo papà Paolo è stato, fra le altre cose, indimenticato sindaco della seconda Milano socialista anni 80, fra Carlo Tognoli e la valanga di “Mani Pulite” (da cui, per la cronaca, è uscito totalmente assolto e riabilitato). Stefano, dopo la militanza giovanile nel Partito Socialista, è stato fra le file di Forza Italia.

Nel 2001 è Presidente della Commissione “Trasporti Traffico e Viabilità” del Comune di Milano. Nel 2006 è stato nuovamente eletto e nominato Assessore alla Qualità, Servizi al Cittadino e Semplificazione e ai Servizi Civici.
Attualmente candidato al Consiglio Comunale con la lista civica Milano Popolare, in appoggio a Stefano Parisi.
Ci vediamo alla Bottiglieria Bulloni, storica vineria milanese con un fascino tutto anni sessanta. Iniziamo subito a bere e con le domande più di scenario:
La Clinton, “di sinistra”, in realtà è appoggiata dalla grande finanza e sembra avere un programma economico più liberista. Trump, “di destra”, addirittura accusato da alcuni media di essere “fascista”, ha nel programma economico ricette keynesiane più a favore dei ceti popolari. Per non parlare della politica estera dove la prima ha posizioni più guerrafondaie mentre il secondo ha ricette più diplomatiche. Inoltre, gli establishment del partito Democratico e Repubblicano sono stati sorpresi, forse travolti, da outsiders come Trump e Sanders. Quello che sta succedendo negli Stati Uniti è un’ulteriore conferma che le due categorie politiche sono definitivamente tramontate e ci si concentrerà solo su uomini e ricette concrete?

Personalmente credo che il rigetto da parte dell’opinione pubblica, non solo delle categorie ma della stessa “sintassi” della politica, che si registra a livello pressoché mondiale (e gli Stati Uniti non potevano che essere all’avanguardia di un fenomeno che investe tutte le democrazie occidentali) abbia molto a che fare con la crisi economica che “morde” la società globale da quasi un decennio. Il che, peraltro, costituisce una costante nella storia moderna. Nel secolo scorso, ha prodotto l’avvento di dittature che avevano costruito il proprio consenso sul malcontento e la disillusione rispetto alla capacità della democrazia di dare risposte ai drammatici problemi economici seguiti alla prima guerra mondiale e alla grande crisi del 29. Negli Stati Uniti (che sono usciti dalla crisi ma con un altissimo costo sociale) si sentirebbe il bisogno, anziché dei populismi di Trump e degli algori della Clinton, della riproposta di un “new deal” roosveltiano. Ma questo passa il convento… E rientra nel quadro di una complessiva carenza di personalità in grado di esprimere una forte leadership che è l’altro gravissimo problema che investe, da più di dieci anni, l’occidente.    

In Italia numerosi socialisti, come il tuo caso dimostra, passarono, nei tumultuosi anni 90′, fra le fila di Forza Italia, nel centro-destra. Vuoi raccontarci come e perché è avvenuto questo posizionamento (magari con un commento su quello che avvenne in quella stagione e l’anomalia italiana di una sinistra rimasta senza un forte partito socialista)?

La “falsa rivoluzione” del 92/93, che ha perseguito  l’annientamento  sistematico del partito socialista come entità organizzata non é, però, riuscita ad annientarne  la cultura politica riformista/craxiana in cui, ancora oggi, si riconoscono tanti militanti ed elettori. Che hanno, però, dovuto trovare una nuova casa. Forza Italia, per oltre vent’anni, è stata la “casa” della maggioranza dei socialisti rimasti orfani e privi di alloggio. E va riconosciuto che vi hanno potuto militare con un ampio spazio di libertà. La spinta iniziale ha avuto una forte componente emotiva. La ripulsa verso un ex partito comunista che, “sconfitto dalla storia”, aveva giocato la sua rivincita appoggiando e promuovendo la distruzione per via giudiziaria di un P.S.I. a cui la storia, invece, aveva dato ragione. Negli anni a seguire, comunque, l’atteggiamento di ostilità dei post comunisti nei confronti dei socialisti non ha fatto che perpetuarsi. Assumendo le forme della “damnatio memoriae” e dell’ipocrita appropriazione di categorie “riformiste” che, invece, erano sempre state ferocemente combattute. Ciò ha determinato un fatto unico in Europa: una sinistra priva di una componente di ispirazione realmente socialdemocratica. Non a caso è stata messa all’angolo per oltre 20 anni da Silvio Berlusconi. E solo nell’antiberlusconismo ha trovato una ragione d’essere che ne celasse il vuoto politico totale.

Una previsione e un auspicio sulla politica italiana e sul Paese nel 2020?

L’italia sta vivendo, probabilmente, la fase più acuta della morbilità “antipolitica”. Anche per via di un ceto politico scadente per la più parte, e di un sistema informativo che lo è ancora di più. A tacere, poi, del connubio tra media e magistratura militante, funzionale a una grottesca rappresentazione della società in cui i “cattivi” sono sempre quelli che, bene o male, passano attraverso una selezione elettorale e non da un concorso pubblico. Un ritorno alla politica “alta” e, quindi, all’impegno e all’attenzione dell’opinione pubblica rispetto ai temi veri costituisce non solo un auspicio ma l’unica via per far incamminare il Paese in un percorso di progresso. Al momento sembra una prospettiva senza speranza. In realtà va solo innescata. Dietro la protesta antipolitica si nasconde, infatti, un gran bisogno di politica.  

A Milano, scontro fra Manager. E’ un’ulteriore passo indietro da parte della Politica? Quali sono le differenze principali fra i due candidati a tuo modo di vedere?

Parisi, a differenza di Sala, ha una robusta formazione politica che gli deriva, peraltro, dalla militanza giovanile proprio nelle file del P.S.I. In tal senso il suo profilo si distacca moltissimo da quello del suo competitore, il cui curriculum è esclusivamente manageriale, nonostante i maldestri tentativi di contrabbandarsi (da ex braccio destro della Moratti!!) come uomo di sinistra “a tutto tondo”. Ma sono i due programmi a fare la differenza. Da un parte continuità con Pisapia, e dunque centralismo, dirigismo, tassazione, vincoli, veti ideologici e tutto l’armamentario veterosinistrorso che ha prodotto i 5 anni di nulla assoluto che ci sono alle spalle. Dall’altra, la visione di una Milano più libera, più aperta, che promuove e non ostacola l’iniziativa privata, che toglie vincoli burocratici anziché aumentarli, che è attenta al sociale, che si prende cura delle periferie. Sono due visioni molto distanti.      

Da protagonista e profondo conoscitore della politica e della macchina amministrativa di Milano, oltre che da candidato, qual è il tuo punto di vista sulle ricette più adatte per la Milano del 2020?

L’amministrazione comunale deve recuperare quella che era la cifra vincente delle stagioni del buon governo a guida socialista, prima, e del centrodestra poi: saper guardare avanti.
Con la consapevolezza che le scelte di oggi produrranno effetti nel medio lungo periodo. Come il nuovo skyline, che ebbe origine dagli strumenti urbanistici varati dalla Giunta Albertini oltre dieci anni fa.  La Giunta Pisapia ha completamente abdicato a questa visione proiettata nel futuro. E, infatti, non ci lascerà nulla. Nessun nastro da tagliare per i prossimi anni. Mentre tanti sono stati i nastri che ha tagliato per meriti non suoi. Basti pensare ad Expo.. Se il comune di Milano non tornerà a questa impostazione lungimirante accumuleremo altri ritardi. Ed è pur vero che la città “sa andare avanti da sola”, ma altri cinque anni così potrebbero esserle deleteri in via definitiva. Un rischio che va assolutamente scongiurato. 

Articolo originale scritto per Farecultura Magazine il 29.05.2016

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