Passare dal punto alla linea. Quanto perdiamo senza osservare?

Parlando con un allenatore di calcio che si occupa di bambini alle prime esperienze sportive, è venuto fuori che secondo la sua esperienza gli allievi, mano a mano che passano le generazioni, hanno modificato il tipo di approccio verso i movimenti che eseguono e la propria psicologia nell’approcciarsi allo sport.

Ovvero, vi è oggi un modo di considerare la propria attività fisica improntato sulla componente estetica dei movimenti, più che sulla loro esecuzione completa.
L’attenzione viene posta nel momento inziale del movimento e nel momento della conclusione, non su ciò che c’è in mezzo, l’esecuzione, che è più impercettibile dal punto di vista visivo ma è estremamente importante dal punto di vista funzionale per quanto riguarda l’efficacia del movimento stesso.

È come se i giovani allievi ponessero la loro attenzione da un punto di vista esterno, quello di un fotografo che deve coglierne le gesta, piuttosto che rimanere centrati sulla prospettiva soggettiva dell’esecutore.

Credo che ciò si inserisca in un profondo cambiamento dell’approccio mentale dell’intera società, avvenuto negli ultimi decenni, a causa e in concomitanza dell’affermazione della, per dirla con Guy Debord, “Società dello spettacolo”.

Se trasliamo lo stesso meccanismo sopradescritto nei giovani calciatori a una riunione in ambito lavorativo, possiamo notare come la ricerca dell’estetica del movimento, si trasformi in ambito verbale in una narcisitica ricerca della frase ad effetto a danno di quell’obiettivo di costruzione comune che dovrebbe essere centrale in qualsiasi dialogo.

Stiamo dunque perdendo la capacità di pianificare, analizzare e seguire mentalmente un percorso continuativo e definito, a favore di un modo di pensare ed agire di tipo “on-off” che necessariamente trova il suo essere in un contesto puramente di breve periodo. Non a caso, ci si lamenta di una politica improntata alla schermaglia quotidiana, di aziende con orizzonti trimestrali, se non più brevi, di una società che nel suo complesso ha perso l’educazione mentale al pensiero strategico di medio-lungo periodo.

Il cambiamento che stiamo vivendo è epocale e allo stesso tempo nascosto. Questo paradosso è possibile perché ciò che muta è la nostra percezione. Se muta lo strumento attraverso il quale dovremmo notare il cambiamento, è impossibile valutarlo in maniera strategica, avendo già perso la capacità di osservare con completezza i fenomeni.

Se dovessimo rappresentare graficamente questo fenomeno noteremmo che si è passati da una percezioni lineare, a una percezione fatta di punti.

Lo sforzo dell’uomo contemporaneo dev’essere quello di unire i punti sviluppando nuovamente la propria sensibilità e capacità di osservazione e ritornare a una consapevolezza completa a lineare. Passare quindi dal punto alla linea.

Articolo scritto per Farecultura Magazine

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *