Terrorismo e Media: oltre la superficie di un rapporto delicato

Il terrorismo è un fenomeno ampio articolatosi in molteplici forme nel corso del tempo. Una definizione abbastanza generica è che si tratta di una forma di combattimento non convenzionale che prende di mira obiettivi civili allo scopo di provocare panico nella società, onde raggiungere scopi politici più o meno dichiarati.
In questo articolo con “terrorismo” intendiamo il contemporaneo fenomeno del cosiddetto “terrorismo islamico”, per focalizzarci sulla più stringente attualità.

Nella “società dell’informazione”, l’informazione è diventata talmente capillare che arriva al punto di nutrirsi di sé stessa e non più direttamente dei fatti. Il paradosso è che i media per stare dietro alla notizia spesso non risalgono più ai fatti originali che l’hanno generata.
Se l’estrema diffusione tecnologica, pensiamo solo agli smartphone e ai social media, ha da un lato dato infinite possibilità di far diventare notizie fatti che una volta, senza la presenza di un giornalista, non lo sarebbero mai stati, dall’altro lato ha favorito il diffondersi incontrollato e incontrollabile di news non esatte o addirittura completamente errate.

Il ciclo di diffusione della notizia vede diverse fasi che possiamo semplificare in:

  1.  fatto
  2.  prime documentazioni (social media e/o agenzie giornalistiche)
  3.  diffusione della news e prime interpretazioni
  4. rivendicazioni, dichiarazioni ufficiali politiche-istituzionali e relative riprese
  5. analisi molteplici
  6. fatti derivati e nuove interpretazioni

Il terrorismo agisce per suscitare e servirsi delle prime tre fasi.
Ha il controllo pressoché totale della prima fase, ed è proprio ciò che terrorizza, può decidere come, dove e quando colpire. Vista l’importanza cruciale delle fasi successive per il terrorismo, lo scegliere i modi e tempi dell’azione, diventa fondamentale nella pianificazione dell’azione terroristica. Per essere più chiari: è indubbio che la scelta delle modalità è strettamente legata alla potenziale mediaticità della stessa e ai simbolismi impliciti legati al quando, al dove e al come l’azione avviene.

Se lo scopo del terrorismo è generare terrore, e la conoscenza si trasmette attraverso i media (tradizionali e social), ne deriva che ovviamente il terrorismo ha come obiettivo strategico, se non primario, la sua stessa rappresentazione sui media stessi. Questo è l’inzio del rapporto perverso creatosi fra terrorismo e media.

Indubbiamente la fase due e la fase tre, sono, grazie all’ipertrofia mediatica iper-coperte. Appena i fatti avvengono, si hanno centinaia di messaggi sui social media, centinaia di siti di news che li riprendono, i network televisivi e radiofonici iniziano a ripetere ossessivamente i fatti. In questa delicata fase la notizia si diffonde fino a raggiungere tutti. Quello che però non può avvenire e che la tecnologia non ha potuto – e non potrà mai – dare, è una interpretazione dei fatti. Il pericolo è che in questa fase, più o meno artificialmente, vengano immesse in questo flusso, informazioni errate e incontrollate che influiranno sulle interpretazioni dei fatti.
È purtroppo inevitabile che ciò accada. Sui media tradizionali perché banalmente le lunghe dirette iniziali devono essere riempite di contenuti e i poveri giornalisti che si trovano a improvvisare questa operazione di riempimento di tempo, finiscono per riportare analisi improvvisate e voci incontrollate. Lato social media, i giudizi a caldo degli utenti, ancora meglio i loro pregiudizi, finiscono per diventare parte del rumore mediatico, causa ed effetto alla stesso tempo.

Sia chiaro, non penso che questo fenomeno sia evitabile, è l’altra faccia di miglioramenti tecnologici che vanno vissuti come conquiste irrinunciabili.

La correzione naturale di eventuali storture, dovrebbe avvenire nelle fasi successive. Fasi nelle quali i professionisti dell’informazione (giornalisti e analisti) devono ricercare le fonti, analizzare i fatti e mettere a disposizione del grande pubblico degli scenari elaborati in base alle loro capacità.
Se le notizie vengono diffuse in modo automatico, viene smontato il teorema secondo il quale il giornalismo è finito. È finito il ruolo strategico del giornalismo comodo che ripete le notizie ma appare sempre più fondamentale, nella società del rumore e dei big data, un giornalismo capace di darci in maniera professionale un’interpretazione ragionata dei fatti che non sia il semplice ripetere tesi altrui: piccola provocazione, per la ripetizione non ragionata del pensiero altrui ci sono i social media.

Per semplificare estremamente questa tesi: il terrorismo sui media si vince con una classe di giornalisti sempre più preparata e scrupolosa, sempre più pensante e coraggiosa. Con un ritorno al giornalismo d’inchiesta e indipendente che cambi il rapporto fra terrorismo e media.

Anche e soprattutto in questo dobbiamo affermare la Libertà come valore distintivo rispetto al terrore che vuole diffondere chi pianifica e attua atti spregevoli di sangue, proprio allo scopo di limitare le nostre libertà.

Articolo pubblicato il 16.04.2016 su Farecultura Magazine

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