Social Media: quella linea sottile fra Intelligenza Collettiva e Stupidità Collettiva

Premessa: quest’articolo non vuole e non può essere , per luogo, forma e possibilità di approfondimento, un trattato scientifico sull’impatto socio-culturale dei social media.
Per questo ci sono già ottimi professionisti dedicati.
Se potessi, con queste poche righe, raggiungere l’obiettivo di stimolare delle riflessioni su quanto i social media ci rendono effettivamente liberi o semplici ingranaggi di ondate di emozioni e sensazioni, avrei centrato l’obiettivo.

Partiamo dunque da dei casi concreti, più o meno recenti.

1 – L’esperimento che condotto da Facebook nel 2012 e venuto a galla nel 2014, che ha dimostrato il condizionamento reciproco degli stati d’animo fra gli utenti del social network più utilizzato al mondo.
2 – Le affermazioni di Umberto Eco sui social media, rilasciate in occasione del ricevimento della laurea Honoris Causa in «Comunicazione e Cultura dei media» a Torino: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”.
3 –  Il caso della “Notte delle Lanterne” in Darsena a Milano, dove un appuntamento pensato per poche decine di persone dall’Unione Buddista Italiana si è trasformato in una mega ressa di decine di migliaia di persone, affluite dopo la circolazione incontrollata dell’evento su Facebook.

Per non citare le decine di campagne di cambiamento della propria immagine del profilo e/o posting di immagini e messaggi uguali.

I tre esempi sopracitati, diversi per tipo e per forma (esperimento, dichiarazione, evento) hanno come minimo comune denominatore la possibilità che ci danno di aprire una riflessione sulla capacità di condizionamento dei social media rispetto ai comportamenti individuali degli utenti, che si trasformano in comportamenti collettivi.

Il paradosso dell’esclusività che diventa omologazione, della convinzione di pensare con la propria testa ed essere invece inconsapevolmente parte di un’onda omologatrice di pensiero collettivo.

La riflessione su questo fenomeno nasce come tecnologica , si trasforma in sociologica ma raggiunge una dimensione a mio modesto parere più ampia e alta: quella etico-filosofica.

Il pericolo è che nuovi strumenti di libertà, quali sono le tecnologie digitali se usate in maniera consapevole, si trasformino in recinti infinitamente più grandi ma pur sempre chiusi nei quali, come nel film Matrix, siamo illusi di scegliere mentre in realtà siamo parte di un immensa coltivazione dove libero pensiero è annullato.

L’antidoto? Il dubbio, misto all’approfondimento. Ora che nostro malgrado siamo parte di un immenso sistema e ne godiamo gli indubbi benefici, la guardia deve rimanere molto alta rispetto alla difesa della libertà del singolo, che nella sua forma più alta si può definire come Libero (e ragionato) Pensiero.

Articolo scritto per Farecultura Magazine il 24.07.2015

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