Comunicazione Corporate: perché è sempre più importante raccontare le aziende

Premessa: occupandomi in prima persona di comunicazione corporate – o istituzionale –(fra l’altro una società che chiamandosi iCorporate, lascia poco all’immaginazione) potrei essere sospettato di autoreferenzialità. In realtà, l’obiettivo di questo pensiero, è di riflettere su alcuni cambiamenti e fenomeni nel mondo della comunicazione, partendo dall’esperienza soggettiva del mio percorso professionale, ma non certo lì fermandosi.

La comunicazione è un settore dai confini poco definiti, all’interno dei quali non si contano le diverse specialità, definizioni e interpretazioni più o meno calzanti. Una distinzione sicuramente fra le più note è quella fra la comunicazione di prodotto, che genericamente comprende tutte le attività che comunicano contenuti riguardo ai prodotti e servizi commercializzati dalle aziende, e la comunicazione corporate, o istituzionale, che comunica le caratteristiche delle aziende stesse.

La grande maggioranza delle persone, anche fra i professionisti del settore, tende a identificare la comunicazione con il primo tipo di comunicazione, quella di prodotto. Questo perché è la tipologia più presente nella vita delle persone con spot pubblicitari in tv, in radio, sui giornali, con eventi di lancio di nuovi prodotti e con le attività di ufficio stampa di prodotto.
I budget delle aziende sono destinati in gran parte alla promozione dei prodotti, avendo un impatto diretto sulle vendite, è molto più comprensibile per chi nelle aziende stesse apre i cordoni della borsa. Tuttavia, questo tipo di comunicazione ha un impatto meno diretto sulla reputazione delle aziende rispetto alla comunicazione corporate. Tema sempre più attuale.

Fino a quando l’economia cresceva più o meno in tutti i paesi occidentali, la comunicazione di prodotto era sufficiente, le vendite andavano bene e tutti, aziende e consumatori, erano soddisfatti. Non a caso i due periodi d’oro della pubblicità hanno coinciso nel nostro paese con i due periodi di boom della crescita economica: gli anni sessanta e gli anni ottanta.
Le aziende erano solide e credibili per definizione, non c’erano – o erano rari- i casi di fallimento. Al consumatore non interessava la solidità patrimoniale o le persone alla guida delle aziende. Non esisteva, in questo caso purtroppo, la sensibilità attuale rispetto ai problemi ambientali legati alla sfera industriale.
Possiamo dire che c’era bisogno di spingere le vendite dei prodotti ma le aziende si vendevano per definizione.

Cos’è cambiato? Cosa ha reso i cittadini più attenti alle aziende e non solo ai loro prodotti o servizi? Sia a livello globale, sia soprattutto a livello italiano, si sono sovrapposti e sostenuti a vicenda, un peggioramento del quadro economico generale e casi emblematici di crisi aziendali. Per citarne solo alcuni ormai presenti nella memoria collettiva: Parmalat (2003), Cirio (2002), Alitalia (2009), Ilva (2012-3), la famosa Lehman Brothers che nel 2008 diede fuoco alle polveri dell’ondata di crisi finanziaria che si è poi tradotta nella crisi dell’economia reale nella quale siamo ancora immersi, per arrivare alla recentissima Volkswagen, crisi di prodotto che si è trasformata in crisi di reputazione aziendale.

Progressivamente la credibilità delle aziende, dei loro leader (basti pensare alle polemiche su bonus e spread fra emolumenti dei manager e dei salariati) si è erosa.

Di conseguenza, comunicare le aziende in maniera trasparente, mettendo in risalto e a nudo tutti gli aspetti di esse che possono e devono ricreare o rafforzare la fiducia nei consumatori, non è più un’attività accessoria ma un’azione necessaria per chi si occupa di comunicazione, che sia nelle aziende stesse o nelle società di consulenza. Ecco spiegato in maniera superficiale ma spero efficace, il grande bisogno di comunicazione istituzionale dei nostri giorni.

Pubblicato su Farecultura Magazine il 21.02.2016

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